Roma, 12 dicembre 2023 – Sono 50 i farmaci orfani disponibili in Italia all’inizio del 2023, pari all’82% del totale dei 61 prodotti approvati a livello europeo dalla European Medicines Agency (EMA) tra il 2018 e il 2021. Un dato che vede il nostro Paese secondo solo alla Germania, dove i farmaci orfani disponibili sono 55. Al progressivo miglioramento della disponibilità di farmaci orfani e al costante aumento del numero delle malattie rare note, giunto – secondo una recente revisione della letteratura – a circa 10.000, si affianca tuttavia una serie di difficoltà, soprattutto a livello territoriale.
Secondo quanto rilevato da Osservatorio Malattie Rare (OMaR) in una survey condotta tra marzo e maggio del 2023, in collaborazione e con il coinvolgimento delle oltre 430 associazioni dell’Alleanza Malattie Rare-AMR, le persone con malattie o tumori rari incontrano difficoltà nell’ottenere il pieno riconoscimento del percorso assistenziale (42,9%), nell’avere supporto psicologico (48,42%) e aiuti economici (33,21%) e nel vedersi riconosciuta l’invalidità civile (30,23%). Questi ultimi tre fattori, uniti alla frequente perdita o diminuzione di lavoro per il paziente o per il caregiver, pesano in modo particolare sul bilancio delle famiglie e dimostrano l’urgenza di finanziamenti, a partire da quelli già previsti, ma mai attuati, dal Testo Unico Malattie Rare.
LE DIFFICOLTÀ DEI MALATI RARI, DAI PDTA ALL’ACCESSO ALLE TERAPIE
A completare il questionario proposto dall’Osservatorio Malattie Rare (OMaR) e realizzato in collaborazione con Alleanza Malattie Rare-AMR, sono state 1.105 persone, in maggior parte pazienti (il 56,83%), seguiti dai caregiver (il 38%) e da una quota rimanente di persone che hanno risposto in rappresentanza delle associazioni pazienti. “Abbiamo cercato di far luce su tutto il percorso dei pazienti – ha spiegato Ilaria Ciancaleoni Bartoli, Direttore di OMaR – dal sospetto diagnostico alla conferma della diagnosi, dall’individuazione del centro di riferimento al percorso sul territorio, sia sanitario che socio-assistenziale, incluso il riconoscimento dei diritti esigibili, il percorso scolastico e quello lavorativo fino alla vita sociale. I dati emersi sono molti, ma uno su tutti spicca in modo evidente: se anche i diritti sono stabiliti a livello nazionale, quando si tratta di ottenerli concretamente molto dipende dalla Regione di residenza. In Italia abbiamo buone leggi, che spesso mancano di attuazione, mentre a livello territoriale la disomogeneità è forte e le difficoltà si fanno sentire. I problemi aumentano quando un paziente deve rivolgersi a un centro di riferimento fuori Regione: non è scontato, infatti, che una volta tornato a casa con le sue prescrizioni, queste vengano riconosciute dalla Regione di residenza. La rete delle malattie rare esiste, ma i nodi che la compongono fanno fatica a comunicare col territorio. Un gap da colmare – si auspica – con il prossimo riordino delle reti”.
Più della metà dei partecipanti all’indagine, il 53,3%, ha riferito di aver avuto difficoltà nell’ottenimento della diagnosi, arrivata tra 1 e 3 anni (23,44%) o anche oltre i 3 anni (25,88%). Il 65,79% dei pazienti ha ricevuto la diagnosi da un Centro della propria Regione e questo è un dato probabilmente migliore che in passato, ma resta tuttavia un 22,9% di persone che ha dovuto spostarsi. E se la diagnosi spesso si riesce a ottenere “in casa”, non è proprio così per la presa in carico che solo il 49,05% dice di aver ottenuto presso Centri di riferimento della propria Regione di residenza. “In parte si tratta di una mobilità fisiologica, che non va sempre letta come una mancanza del territorio – ha sottolineato Ciancaleoni – soprattutto nel caso delle patologie più rare è naturale che l’expertise si concentri in pochi Centri con una solida competenza sulla specifica patologia. Il 19,10% dei pazienti dice di far riferimento ad un Centro fuori Regione: è una percentuale alta ma non è tanto questo a preoccupare, quanto quel 21,63% di persone che dichiarano di non essere state prese in carico né all’interno né fuori dalla propria Regione. A generare i maggiori problemi non è tanto la distanza dal Centro di riferimento dove ci si reca periodicamente, quanto la messa in pratica del piano terapeutico e assistenziale sullo specifico territorio di residenza”.
Non è un caso che le risposte fornite dai rappresentanti delle Associazioni che hanno partecipato alla survey indichino come criticità da risolvere in via prioritaria lo sviluppo dei servizi sul territorio (67,31%). Tra le principali disparità regionali rilevate, i rappresentanti delle Associazioni hanno indicato quelle nell’ambito dell’assistenza socio-sanitaria (63,46%) e dell’assistenza medica (57,69%), nell’approccio all’assistenza domiciliare (50%) e nell’assistenza fisioterapica (32,69%).
“Sebbene un’analisi delle differenze tra le risposte dei pazienti e quelle date dai rappresentanti delle Associazioni mostrino alcune differenze, c’è un aspetto che mette tutti d’accordo: il punto debole del sistema è nel territorio. Per questo, tanto i malati rari quanto le Associazioni che li rappresentano indicano il miglioramento dell’organizzazione della medicina di base e un maggior sviluppo dei servizi territoriali, sanitari, farmaceutici e socioassistenziali, come la necessità a cui dare priorità”, ha concluso Ciancaleoni.
Leggi il rapporto integrale: VII-Rapporto-Annuale-OSSFOR-Web.pdf (osservatoriofarmaciorfani.it)