Mi chiamo Giovanna e scrivo questa lettera per raccontarvi la mia storia, o meglio la nostra storia. Parlo al plurale perché in realtà si tratta di una triste storia che riguarda in primo luogo Matteo, il mio fidanzato di 32 anni morto a dicembre 2012 per una sclerosi sistemica progressiva diagnosticata troppo tardi, e riguarda me perché insieme a lui, dopo 12 anni insieme, ho perso la visione del futuro, la fiducia nella medicina e vedo intorno a me solo buio.
Il fenomeno di Raynaud fu il campanello d’allarme
La storia di Matteo inizia con un dito della mano che diventa freddo, bianco, blu e subito dopo rosso. Ci siamo subito preoccupati ma al pronto soccorso ci hanno liquidato con un: “Non è niente di che, solo un problemino di circolazione dovuto al freddo”. Ma il problema si ripresenta sempre più spesso accompagnato in più da delle piccole escoriazioni nella punta del dito, escoriazioni che diventano ulcere e provocano un dolore terribile. Il medico di base sospetta un fenomeno di Raynaud ma non si allarma e ordina a Matteo delle analisi del sangue. Dalle analisi non viene fuori nulla se non qualche piccola alterazione al fegato. Niente di preoccupante. Nel frattempo accusa, oltre al dolore alle mani, soprattutto alle basse temperatura, anche un bruciore di stomaco perenne, una spossatezza fuori dal normale e la sensazione di avere le “spalle strette”. Il dito peggiora e decidiamo di andare da un dermatologo il quale diagnostica un granuloma piogenico e asporta la parte “infetta”. Andiamo settimanalmente dal dermatologo per la medicazione ma, per quattro mesi, il suo dito non accenna a cicatrizzare. Il medico ci dice di non allarmarci perché le dita purtroppo hanno dei tempi di guarigione molto lunghi, ma per sicurezza, ci manda da un primario di dermatologia il quale ancora una volta, ci rassicura.
La diagnosi di Sclerosi Sistemica
Intanto il suo stato di salute continua a peggiorare: perde peso a vista d’occhio e ha una forte difficoltà a deglutire. Il medico di base gli ordina una gastroscopia e un’ecografia tiroidea nonché analisi del sangue per scoprire se per caso soffrisse di iper tiroidismo. Anche stavolta tutto negativo se non per una leggera gastrite. Tre giorni dopo la gastroscopia viene visitato da un professore di un’altra struttura ospedaliera che alla prima visita sospetta una sclerosi sistemica e gli dice che dopo qualche giorno sarebbe stato ricoverato per gli accertamenti.
In quel momento non ho capito subito, ma la parola “sclerosi” mi allarmava parecchio. Arrivo a casa e vado subito su internet a vedere di che si tratta: era una patologia grave. Sento il mondo che mi crolla addosso ma tutto sommato sono (ero) una persona positiva e leggendo le esperienze di altre persone che si trovavano ad avere questa patologia, mi sono tranquillizzata, visto che molte di loro ci convivono da anni. Certo, bisogna fare la terapia una volta al mese per cinque giorni (in ricovero), bisogna stare attenti agli sbalzi di temperatura (soprattutto al freddo), bisogna stare attenti col cibo per evitare che vada di traverso e bisogna fare una riabilitazione con la logopedista. Impegnativo! Pensai.. ma ero pronta anzi stra pronta ad affrontare tutto questo con lui. Lo tranquillizzavo: gli dicevo di avere pazienza, che sarebbe stato un lungo percorso ma che alla fine ne saremmo usciti. Parlavo sempre con un “noi” mai con il “tu”. Dopo un mese di ricovero ed il primo ciclo di terapia, che oltretutto andò molto bene le ulcere erano sparite! Venne dimesso.
La Sclerosi Sistemica e le complicanze
A novembre fece il secondo ricovero ma nel frattempo aveva calato di peso ancora di un altro paio di chili: ora ne pesava 50 per 180cm di altezza. Non ci scoraggiammo. Fece l’altro ciclo di terapia ma questa volta non cambiò granchè: la difficoltà a deglutire peggiorava inesorabilmente. Per questo motivo, dopo un accurato esame di otorinolaringoiatra gli venne consigliato di mettere la PEG (la nutrizione, tramite un dotto direttamente nello stomaco di sostanze nutritive semiliquide), certo, la cosa ci deprimeva parecchio perché Matteo amava mangiare! Mangiava per tre, e diceva sempre che il mangiare è uno dei piaceri massimi della vita e che, dopo questo intervento la nostra vita sarebbe cambiata: dico la nostra perché lui si preoccupava tantissimo per me, non voleva che io sacrificassi la mia vita per accudirlo, o che dovessi rinunciare a tante cose per stare con lui. Ovviamente questo mi faceva arrabbiare: io ero pronta e volevo stare con lui. Ad ogni costo.
Il 4 dicembre fece il terzo e ultimo ricovero. Ormai non deglutiva quasi più e mangiare un semplice budino era diventata un’impresa. Pesava 46kg. Gli venne fatta la nutrizione tramite flebo fino al 18 dicembre, giorno in cui gli misero la PEG. In quel momento ero contentissima perché credevo fosse il rimedio miracoloso per riprendere peso e quindi energia, non capivo invece che era la malattia che lo stava consumando giorno dopo giorno. Iniziò con la nutrizione tramite PEG il 20 dicembre, e dopo avergli dato la buona notte come tutti i giorni rientrai a casa. In genere lo chiamavo appena arrivata per tranquillizzarlo e per dargli la buona notte. Quella sera invece mi chiamò lui. Mi sembrò strano infatti, ma comunque parlammo un po’ nonostante le sue difficoltà a comunicare visto che non articolava bene le parole a causa della malattia. Mi disse tutto ciò che aveva da dirmi mi tranquillizzò e ci salutammo.
Alle 2.30 del mattino si spense. Uso questo termine perché lui mi diceva sempre: ”vedi che mi spengo ogni giorno di più?” e aveva ragione, nonostante mi arrabbiassi con lui, nonostante non lo volessi ascoltare. Nonostante tutto aveva ragione.”
La diagnosi precoce è fondamentale
Questa lettera non riesce ad esprimere tutto ciò che provo ma quello che voglio dire è che questa malattia può essere scambiata con un malessere psicologico, può essere sottovalutata ma può e DEVE essere diagnosticata in tempo! Questa lettera è, oltre a uno sfogo personale, anche un appello ai medici, soprattutto ai medici di famiglia che sono i primi a venire a contatto col paziente. Non sottovalutate mai dei sintomi come questi, bastano pochi esami per diagnosticare questa malattia così subdola e silenziosa e soprattutto non sottovalutate mai un paziente solo perché è “un ragazzone” come dicevano a Matteo e solo perché ha 30 anni. Questa malattia colpisce soprattutto le persone di questa età. Ringrazio chi leggerà questa lettera e spero possa essere utile a diffondere almeno tra i lettori che la sclerosi sistemica non è così rara e che una diagnosi precoce può salvare la vita.