Porto Santo Stefano, 1943. Nasce una bella bambina. Una delle tante, se non fosse che papà è Luigi Barzini, una delle grandi penne del Corriere della Sera e mamma è Giannalisa Gianzana Feltrinelli. Possiamo dire che, con cotanto DNA, Benedetta Barzini nasce con un destino abbastanza deciso e di fulgido prestigio. E così è stato. Ma decisamente diverso da quello che avrebbero voluto i suoi illustri genitori. Benedetta, infatti, ha vent’anni e sta passeggiando per il centro di Roma. Attira l’attenzione di Consuelo Crespi, ai tempi direttrice di Vogue Italia, che si premura di far avere una sua immagine a Diana Vreeland: la più importante giornalista di moda di tutti i tempi. Benedetta parte subito per New York ed esordisce sulla copertina di Vogue ritratta dal “maestro” Irving Penn. La fama è immediata. A New York doveva restare dieci giorni, divenne casa sua per cinque anni. Nessun grande fotografo voleva lasciarsi scappare quel volto così poco ordinario, aristocratico e – allo stesso tempo – di fascino pittorico, quasi antico. Anche gli artisti adorano Benedetta. Andy Warhol, ma soprattutto Salvador Dalì che addirittura la prega di impersonare Gala, sua moglie, in una performance in cui si ricelebrava il matrimonio. Ma tutto questo a Benedetta interessa fino a un certo punto. E così torna in Italia. Per diventare, alla soglia dei trent’anni, uno dei punti di riferimento del movimento femminista. Scelta abbastanza scandalosa. Siamo ancora nell’epoca delle “indossatrici”, donne bellissime ma senza anima. Come può una donna-oggetto farsi paladina di emancipazione e della parità di genere? Scegliendo l’autenticità. Benedetta ha continuato a fare la modella (ma anche la giornalista, la scrittrice, l’antropologa). Rispetto alle sue colleghe, però, con una peculiarità ben specifica. Permettendo che il tempo facesse il suo corso sul suo viso e sul suo corpo. Benedetta Barzini entra nel mito. Con le rughe ben in evidenza e sempre meno trucco. “Il rossetto su una vecchia – afferma – la trasforma subito in una maschera”. Ancora oggi, che ha 76 anni è corteggiata dai grandi fotografi e calca le passerelle delle fashion week. Ma oggi Benedetta, la ragazza che ha detto di no a Bob Kennedy, è una donna che si permette di trasformarsi nuovamente. In modo, se possibile, ancora più radicale. Lo fa con un film, diretto dal figlio Beniamino Barrese, dal titolo durissimo: “La scomparsa di mia madre”. Si, Benedetta, vuole scomparire. Desidera un “morire da viva”. E in questo bellissimo intreccio con la telecamera dell’amato figlio rivela il suo desiderio di “non essere vista”, di fuggire da un lusso che ha sempre odiato e da quell’obiettivo che l’ha iconizzata in una cornice appesa a un muro. Benedetta oggi si permette di non riconoscersi nel mondo dell’uomo bianco, sempre alla rincorsa dei soldi e del successo. Vuole andare via da una società avida ed egotica a cui sente di non appartenere più. Attenzione, non si tratta di una resa. Benedetta rimane la ribelle, la femminista, l’antropologa e la fervente idealista anticapitalista. Ma semplicemente, oggi, dichiara: “ho vissuto una vita addomesticata. Ora voglio regalarmi il contrario di quello che ho vissuto fino ad adesso”. Scelta logica e più che legittima. In un’epoca infatti che ha perso il senso dello stile, dell’educazione, dell’eleganza e del rispetto sociale, forse la scelta più rivoluzionaria è infatti proprio un assente e dignitoso silenzio.
Pier Lodigiani – Communication Consultant, Journalist, Gestalt Counselor




